La Regola del Gioco


Spulciando fra vecchi manuali con l'intenzione di vendere qualcosa ho ritrovato un numero della collana I giochi del Duemila che si intitolava La regola del gioco di Marco Perez e Piermaria Marazziti. Questa collana rappresentò un tentativo di diffusione popolare e in formato economico di giochi di ruolo, da tavolo e di strategia: era suddivisa in varie sottocollane e vedeva la partecipazione di autori italiani ben noti come Andrea Angiolino, Beniamino Sidoti, Luca Giuliano ed altri. Oggi parleremmo di nanogames o minigiochi, ma il concetto era già molto simile e la loro realizzazione (considerando il prezzo e il formato) spesso apprezzabile.

Il numero in questione mi è saltato subito all'occhio per un interessante sottotitolo, che potrebbe essere anche una bella definizione di gioco di ruolo: "il cinema senza immagini".

Aprendolo e leggendo alcuni passaggi sono rimasto colpito da affermazioni che sembrano prese direttamente da manuali di gdr moderni. Per esempio l'introduzione è emblematica:

Caratteristica de La Regola del Gioco è l'assenza di regole nel senso tradizionale del termine. Questa assenza è dovuta ad una nostra riflessione sul Gioco di Ruolo. Scopo delle regole è creare un linguaggio attraverso cui Narratore e giocatori danno vita ad una storia appassionante e originale. Nella creazione di queste storie risiede il vero fascino del GdR, che nella simulazione oggettiva degli eventi è meno efficace di giochi progettati per questo scopo. Abbiamo pensato di sostituire a un sistema di regole a base numerica, un sistema narrativo: regole legate ai metodi e ai tempi del narrare.

Il regolamento dà anche molto risalto alla creazione corale (al tavolo) del tono, dell'atmosfera, del tipo di storie da giocare: il tutto sempre rifacendosi al linguaggio del cinema, che gli autori ritengono il più vicino, fra tutti i linguaggi espressivi possibili, a quello del gdr. Si prosegue con le regole per la risoluzione degli eventi:

Nei GdR classici il sistema di risoluzione degli eventi e del combattimento occupa il 90% del regolamento. Ne La Regola del Gioco  quello che interessa è vedere come un personaggio agirebbe in una data situazione e risolvere narrativamente la scena, non stabilire meccanicamente se ha successo o meno nelle sue azioni. Il centro dell'interesse non è la simulazione, ma la creazione di una storia.

Non meno fruttuoso il paragrafo che si occupa di inserire nel regolamento i tiri di dado:

E' curioso che in un sistema che non prevede l'utilizzo dei dadi vi sia un intero capitolo dedicato a questi oggetti, fondamentali nei GdR classici. Eppure ci sentiamo in dovere di proporre di salvare l'utilizzo dei dadi: non tanto per una pretesa e non realistica oggettività o capacità di simulare il caso (la sorte non entra in gioco all'interno di una storia in maniera casuale), ma per salvaguardare la funzione narrativa del dado. Far effettuare un lancio di dadi è per il Narratore un altro modo di creare tensione e aspettativa nei giocatori. Per questo l'utilizzo del dado risulta così affascinante: non sapere cosa uscirà, e se il risultato sarà sufficiente a salvare la pelle, influisce moltissimo sull'animo dei giocatori. (...) E' assolutamente da evitare l'utilizzo dei dadi per le azioni intraprese dagli antagonisti o dai personaggi non Protagonisti.

Il gioco non è esente da ingenuità o punti nebulosi, ma non dubito che possa ancor oggi funzionare. Le valutazioni e le motivazioni dei due autori, in particolar modo, sono interessanti e mi hanno fatto notare due cose.

  1. Non esitano per un istante a chiamare il loro gioco "gioco di ruolo". Per me è assodato che Polaris è un gdr, così come Aips, Fiasco o D&D. Non sono d'accordo con l'usare giri di parole come "bomboloni alla crema"; dà l'idea di una enclave nell'enclave, e si porta dietro una serie di precomprensioni superflue. Se devo presentare Fiasco a uno che non ne sa nulla di gdr a che gli giova essere messo a parte della storia del termine "Parpuzio" e delle varie querelle connesse?
  2. Le cose non nascono dal nulla; le idee spesso stanno "a mollo" nel tempo e nei luoghi e quando vengono fuori se ne possono anche seguire le flebili tracce a ritroso. Intuizioni, riflessioni che a rileggerle oggi fanno capire che certe esigenze (seppur ancora minoritarie o parziali) nei confronti del gdr c'erano già nel 1996 (quando è uscito questo libretto) e un approccio critico a un modo univoco di intendere questi giochi viene da lontano e non è una moda passeggera del momento.
Vi lascio con un ultima considerazione interessante; chissà se tra qualche anno potremo rileggerla partendo da un punto della strada ancora più avanzato:

Speriamo comunque che questo libricino possa diffondere le idee portanti del nostro modo di intendere il GdR e ampliarne l'orizzonte espressivo, sottolineandone la profonda natura di arte narrativa. Un'arte popolare, con propri tratti specifici che solo se si riconoscerà come tale potrà sfruttare a fondo le proprie potenzialità e sottrarsi alla noia della ripetitività e della simulazione fine a sé stessa.

Commenti