Mondi di carta addio!

Nelle librerie dei giocatori di ruolo più legati all'approccio tradizionale, una buona fetta di spazio è da sempre occupata dai manuali di ambientazione. Tomi spesso poderosi e coloratissimi che descrivono mondi mai esistiti nei quali ambientare, appunto, le avventure dei personaggi di fantasia dei giocatori: alcune di queste pubblicazioni sono caratterizzate da una cura quasi maniacale nella descrizione della storia di interi continenti, culture e religioni. Le ambientazioni di genere fantasy sono quelle che sono sempre andate per la maggiore, ma senza nulla togliere alla mole di volumi prodotti per ambientazioni più eterodosse come Il Mondo di Tenebra della White Wolf che pare eguagliato, per vastità del piano editoriale, solo dalla serie dei romanzi Harmony.



Un piccolo assaggio di letteratura Harmony


LE FANTA-ENCICLOPEDIE
Da quando ho iniziato a provare gdr di tipo moderno, ho riveduto molto la considerazione nella quale tenevo queste produzioni para-letterarie. Un tempo, nemmeno troppo lontano, anche i miei scaffali sono stati ingombri di questi libri. Possedevo tutte le pubblicazioni di almeno due grosse ambientazioni fantasy (Kingdoms of Kalamar e Midnight) più svariati altri "mondi di carta", come Fading Suns, Forgotten Realms, Vampiri Secoli Bui, Martelli da Guerra e così via. Devo ammettere che alcune di esse erano scritte bene e avevano delle idee narrative alle loro spalle, piuttosto interessanti o comunque stimolanti. Certo lo studio di questi volumi ha spesso del disumano in termini di tempo, soldi ed energie: e io non sono nemmeno mai stato uno di quelli che doveva per forza sapere ogni minima cosa di una data ambientazione, ma di tempo gliene ho dedicato comunque molto (...forse troppo).
Alcune ambientazioni, infatti, hanno un approccio quasi enciclopedico e crescono a dismisura negli anni, come dei veri e propri labirinti letterari composti da atlanti, espansioni, approfondimenti, guide ai popoli e alle razze. Se a 12 anni vi avessero detto che nei lustri a venire sareste stati così diligenti da studiare con tanto fervore enormi tomi di storia e geografia per puro diletto, ci avreste creduto?
Ma al di là dell'idea di base di molte di queste ambientazioni (lo gnosticismo soprannaturale e urbano di Vampiri, la disperata resistenza ad un male trionfante in Midnight, il medioevo futuro di Fading Suns, il western alternativo di Deadlands) si incappa spesso in materiale pedante e ci si domanda perché non si è scelto di leggersi un saggio di storia o un romanzo. Alcuni di questi manuali sono caratterizzati da una ipertrofia di informazioni che non manca in alcuni casi di annoiare e di assuefare più al collezionismo del nuovo supplemento in uscita che spingere all'uso effettivo di tutta questa mole di dati. Infine molti dei miei venticinque lettori avranno anche fatto l'esperienza di giocare con qualche esperto conoscitore di queste enciclopedie e ben sapranno che, salvo eccezioni, questo può essere un bel problema. Chi conosce al millimetro, faccio un esempio, i Forgotten Realms (compresi videogiochi, fumetti e sorpresine kinder annesse) potrebbe benissimo sentirsi nel diritto di suggerire a ogni singolo giocatore come si debba comportare il suo dato personaggio, a seconda della sua razza, della sua cultura e provenienza. Questo modo di giocare, secondo me, è davvero triste e forse non è nemmeno un giocare nel vero senso del termine! Lo invitereste il vostro migliore amico a 4 ore di seminario di antropologia vampirica con qualche fìne conoscitore del Mondo di Tenebra? Io mi farei una bella girata piuttosto, non so voi.
E' ovvio che ho un po' calcato la mano, ma se avete qualche anno di gioco sulle spalle saprete che non sono andato così fuori dal seminato. Le ambientazioni enciclopediche, insomma, rischiano di essere aridi esercizi di stile per chi le conosce e dei macigni sul divertimento di chi, invece, non le ha "studiate": da qui all'instaurarsi di un rapporto creativo non paritario con tutti gli altri giocatori il passo è breve (se so più cose di te di questo mondo di gioco, posso sempre essere io a dettare il ritmo e la direzione della partita).
La domanda da farsi è: vi interessa veramente definire ogni più microscopico aspetto dell'ambientazione di gioco? E la domanda successiva potrebbe essere: perché? A me pare sempre di più che i setting enciclopedici siano delle coperte di Linus; e al giorno d'oggi, con la mole impressionante di canali narrativi di facile fruizione che abbiamo, la loro presenza mi sembra a maggior ragione ingiustificata. Se prendete un normale essere umano che guarda una serie tv o un film ogni tanto e lo invitate a giocare, che so, a Il Mostro della Settimana, avete almeno qualche decina di esempi (fra libri, fumetti, film, telefilm e videogiochi) con i quali spiegargli in tre minuti di orologio l'atmosfera del gioco. Pensate di avere meno agganci di questo tipo per giochi un pò più "stravaganti" come Psi*Run, Fiasco o Durance: io non credo proprio (ne dico tre al volo; Heroes, Fargo e Prison Break). Ed ecco che tutti al tavolo sanno che cosa andrete a giocare.
In giochi come Avventure in Prima Serata o in Mondo di Apocalisse ho imparato a non sentire minimamente la mancanza di questi atlanti dell'immaginario. Ho giocato senza ambientazione? Ma nemmeno per idea! Così come non esiste un romanzo privo di ambientazione non esiste una partita di gdr che non scelga o almeno propenda per una qualche cornice o puntello di ambientazione. Se comprate Dungeon World avete già scelto anche una ambientazione molto precisa che non vi porterà di certo a giocare storie cyberpunk; se vi piace Cani nella Vigna vi siete orientati su un western molto originale. La cosa bella di questi giochi è che definire nel particolare l'ambientazione sarà parte del gioco stesso e permetterà a tutti i partecipanti di trovare un motivo valido e personale per rimanere al tavolo.

LA VIA DI MEZZO?
Esiste, forse, anche un approccio più soft a questo tema, e che è rappresentato da ambientazioni che, pur partendo da un idea precisa ed anche articolata, non si disperdono in decine di espansioni e mantengono un approccio contenuto e ragionato nella mole e nel tipo di informazioni. Nell'ambito del gdr tradizionale questa mi pare la linea tenuta finora dalle ambientazioni di Savage Worlds. Un altro approccio simile è quello di 13thAge dove viene presentato un mondo fantasy archetipico ed estremamente aperto a modificazioni in fieri (come se in una campagna di DW si partisse con una mappa generica da riempire). E infine mi preme molto sottolineare la bontà dell'approccio del Fate Core e dei suoi 2 volumi base di ambientazioni. Una parte della fase di preparazione di una partita al Fate è dedicata a circoscrivere,  con tutti i giocatori insieme, il tipo di campagna, i temi e la sua portata; questo, unito alla linearità del sistema, permette di partire sia da una ambientazione molto sintetica che direttamente da un libro o da un film o da una serie tv: su internet si trova questo esauriente actual play centrato su Star Wars che spiega l'approccio in questione più di molte parole.

UN ESEMPIO DI WORLD BUILDING
Quando uscì D&D 3.0 iniziai a frequentare quello che poi sarebbe diventato il mio gruppo di gioco per molti anni. Il nuovo D&D ci entusiasmò subito e decidemmo che lo avremmo giocato con una ambientazione fantasy creata da tutti i membri del gruppo. In realtà fummo in cinque su sette a scrivere realmente il materiale, ma in ogni caso quello sarebbe stato il nostro setting ufficiale. Un amico buttò giù una mappa con pochi elementi geografici e cominciammo a tracciare confini e a mettere idee in comune: poi ad ognuno furono affidate delle sezioni da fare (la storia primitiva, l'elenco delle lingue etc.) e soprattutto ci dividemmo i regni e le culture da scrivere. Il giocatore appassionato di personaggi chierici scelse di creare una teocrazia, un altro appassionato di storia antica scrisse dei due imperi più importanti, un altro ancora si prese la briga di delineare gli elfi perché aveva un debole per questa razza e così via. La stesura di questa ambientazione si è protratta per anni (quasi dieci anni penso); intanto avevamo cominciato a giocarci, lasciando spazi bianchi e intere regioni soltanto abbozzate. Giocando nascevano cartine, altre idee e anche correzioni; ma tutti lavoravano su quello che ad ognuno piaceva di più. Devo dire che scrivere nella propria cameretta di regni e imperi fu faticoso ma divertente, e forse fu più gratificante quel passatempo solitario che non la resa del setting stesso al tavolo da gioco. Ma questo non perché fosse brutta la nostra creazione, anzi c'erano tante idee interessanti; ma se scrivevo 40 pagine di storia di una regno di fantasia, c'era da mettere in conto che non tutti avrebbero avuto voglia di leggersele (e come biasimarli) considerando che non si trattava di un romanzo: e alle mie pagine se ne assommavano altre decine e decine scritte dagli altri. Finimmo col giocare il grosso delle campagne nel Lodar, in una zona del mondo non ben definita, formata da baronie e contee che creavamo alla bisogna; mentre intorno a essa torreggiavano i nostri colossi di carta, imperi e regni descritti persino con grafici sulla demografia e la ricchezza. Di tutto quel ben di Dio di materiale avremo usato sì e no il 5%, a dir tanto. Cosa voglio affermare con questo? Che se avessimo avuto Dungeon World avremmo creato quello che ci serviva via via, coinvolgendo tutti al tavolo di gioco e divertendoci nel farlo: il tutto senza fatiche accademiche (che già avevamo quelle vere da affrontare!). Il nostro world building è stato muscolare e ci ha tenuti impegnati per anni, quello di DW ottimizza le idee e le risorse dei giocatori ed è immediatamente gratificante.

TIRANDO LE SOMME
Se si scelgono con accortezza i giochi giusti, io credo che le ambientazioni enciclopediche non servano più granché e che non sentiremo la loro mancanza: mi azzardo a dire che forse la modalità di recepire questo prodotto editoriale da parte del giocatore di ruolo, negli ultimi anni, è già notevolmente cambiata. Mi auguro che le ambientazioni siano sempre più parte integrante di un buon game design (laddove questo viene ricercato consapevolemente, è ovvio), come già possiamo vedere in molti titoli importanti di questo periodo.
Ma se proprio non potete fare a meno di leggervi di terre immaginarie e storie fuori dal tempo, e proprio non ne volete sapere di un romanzo, mi permetto di consigliare il seguente volume di Eco: "Storia delle terre e dei luoghi leggendari" edito da Bompiani. E così potrete scoprire da dove viene, in maniera, talvolta anche inconscia, il 90% del materiale che poi ritroviamo in varie ambientazioni per gdr.







Commenti

  1. Ciao, ho letto tutto con molto interesse e mi trovo perfettamente d'accordo con te.
    Non so se l'hai già letto, ma qualche mese fa ho scritto un articolo molto simile sul mio blog: http://giochidalnuraghe.blogspot.it/2014/04/lambientazione-dettagliata-ma-serve.html

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  2. Mi era completamente sfuggito, lo leggo con calma. Grazie della segnalazione!

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  3. Sono abbastanza d'accordo con te. Come scrissi anche sull'articolo di Luca, citato sopra, il mio pensiero a riguardo è che i famosi splatbook non fossero altro che un espediente diventato necessario per non fare morire economicamente ed editorialmente la linea. Poi, ovviamente, c'erano delle cose bellissime a leggersi (ricordo sempre che scrivo da non più di 30 cm di distanza rispetto ai miei 25 manuali di Hunter: The Reckoning - i "25 bastardi fiammeggianti", li chiamavo - che era anche una delle linee meno popolate di supplementi), ma il punto è che noi dobbiamo giocare di ruolo e non leggere fan fiction.

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  4. Ciao,

    un articolo messo giù come Cristo comanda e piuttosto convincente per giunta. I dubbi espressi sono tutti legittimi, ma mi pare che capovolgano un po’ la questione. Le ambientazioni commerciali (e così le avventure) nascono proprio per rispondere alla mancanza di tempo dei DM che erano in origine chiamati a mettere assieme i moduli avventura o a crearsi, come ha fatto il tuo gruppo, carta e penna alla mano, la propria dimensione su misura.
    Il problema di cui parli tu si verifica invece se, affetto dal morbo del collezionista (io per primo ne sono spesso vittima), il DM si senta in dovere di comprare e leggere ogni libro e romanzo, anche secondario, che sfrutti il marchio dell’ambientazione preferita. Allora sì, si entra all’interno di un ciclo che, oltre che demoralizzante, ha il risultato di diventare antitetico all’obiettivo iniziale: risparmiare tempo!
    Normalmente, prima di cominciare un’avventura, mi rivolgo alla mia biblioteca personale, scelgo una zona geografica, consulto gli annali e prendo lo spunto. Tanto, ma tanto tempo risparmiato.
    Un po’ come, per un gioco ambientato a Parigi, non potessi avvalerti della mappa della città, della guida locale e di tutte le meraviglie che wikipedia e internet ci offrono. Non è che però ti metti a leggere la storia del regno dai carolingi in avanti. Prendi spunto da quello che ti serve in quel momento, senza doverti inventare il Louvre, la Torre Eiffel, il magnifico corso della Senna.
    Stesso dicasi per la questione giocatori, non mi pare molto logico che qualcuno possa riprendere un compagno di gioco perché interpreta un ragazzo delle banlieue come uno studioso giapponese. Non tutti i ragazzi nati nei sobborghi spaccano macchine e disegnano graffiti nel tempo libero. Insomma, l’obiezione mossa da un giocatore ad un altro, di qualunque ambientazione si parli, sarebbe pretestuosa.
    Molto bello invece, per giocatori ferrati, che abbiano familiarità con l’ambientazione, è quell’effetto che passa quando si ha confidenza con luoghi e PNG. Motivo per il quale per esempio all’epoca andò tanto il GirSA. Tutti sapevano com’era Hobbiton, chi gestiva la locanda del Puledro Impennato e via dicendo. Semplicemente risparmia molta, ma molta fatica al DM che può invece concentrarsi sul plot dell’avventura.
    Circa i giochi più moderni, beh, hanno i loro pro e contro, si crea il mondo mano a mano, e ci si diverte facendolo, ma la questione produzione scritta è solo rimandata. Già perché altrimenti chi se lo ricorda chi gestisce la locanda del Puledro Impennato dopo che Omorzo ha chiuso per andare a passare la pensione al resort con Gandalf e gli altri? Insomma, è un serpente che si morde la coda: o lavori prima, o lavori dopo o, terza scelta, fai lavorare gli altri. Ecco il perché delle ambientazioni commerciali.

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  5. Ciao Mattia e grazie del commento! Le degenarazioni commerciali le vediamo in molti campi e quindi anche con i gdr ci sono eccessi consumistici. L'articolo ha il limite di partire dalla mia esperienza personale e di sicuro ho calcato la mano su alcuni aspetti. Non metto in dubbio che sia possibile un approccio intelligente e saggio anche partendo da titoli tradizionali: ci sono tanti modi di approcciare anche i Forgotten Realms e non tutti, come giustamente ricordi, spaccano il capello in quattro o passano il tempo a studiarsi Vampiri (e meno male!) per sabotare il gioco altrui. Dal canto mio, però, posso dire che ormai preferisco l'approccio creativo dei cosiddetti moderni; lo sento più fresco e meno esposto a certe esagerazioni.

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    1. Ciao Francesco,

      che dire, grazie della tua risposta. Capisco l’esigenza di radicalizzare una posizione quando si scrive un articolo, altrimenti che discussione ne uscirebbe? E io ne approfitto per il piacere di parlare. Alla fine, immagino che, come capita spesso nei gruppi di veterani, tu sia rimasto un poco scottato da certi atteggiamenti che sorgono tra gli specialisti.
      Cambiando argomento, ma mica tanto, parlavo qualche giorno or sono di DW con un amico, anche lui giocatore dal ’89, e me ne conferma tutto il bene possibile. Ho aggiunto il tuo blog tra quelli che seguo e ti segnalo il mio, casomai volessi dargli un’occhiata: www.ortodelgrognard.blogspot.com

      A presto.

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